Una opinione sul significato dell' "Ite, missa est"
Ite--Missa-est.jpg […] Molto si è discusso, com’è noto, sull’origine della parola “messa”; l’opinione attualmente più accreditata la fa giustamente derivare dall’espressione latina missa est, intesa come una forma verbale passiva del verbo mittere “mandare”. Quello che è incerto è il soggetto del verbo, anche se in genere si è propensi a ritenere che la frase ite, missa est, con la quale termina il rito cristiano, volesse in origine indicare che l’eucaristia era stata mandata, per mezzo dei diaconi, ai fedeli ammalati e pertanto impossibilitati a partecipare alla cerimonia comune. Tale interpretazione appare abbastanza soddisfacente sul piano puramente linguistico, ma lo è un po’ meno se si considera l’aspetto religioso del rito. E’ infatti evidente che l’invio dell’eucaristia ai fedeli lontani resta un episodio del tutto marginale e incidentale rispetto allo svolgimento del rito stesso (potevano ben darsi dei casi in cui non vi fossero malati a cui mandare l’eucaristia), sì che desta una certa perplessità vedere una cerimonia religiosa importante come il sacrificio cristiano terminare liturgicamente con una comunicazione di carattere piuttosto banale e, tutto sommato, di nessuna importanza per i fedeli presenti. Le parole ite, missa est acquisterebbero ben altro significato se esse volessero indicare la fine della cerimonia stessa: ite, (hostia) missa est, “(la vittima) è stata offerta”, cioè “il sacrificio è finito”. Questa interpretazione della formula cristiana non soltanto appare più consona alla gravità della cerimonia compiuta, ma troverebbe anche una spiegazione linguistica pienamente soddisfacente. Gli studiosi che finora si sono rivolti a tale questione sono stati attratti dalla singolarità dell’espressione che non trova riscontro nella terminologia liturgica latina o greca; nessuno di loro poteva però immaginare che tale espressione corrisponde esattamente alla terminologia punica: missa est non è altro, infatti, che la traduzione latina della parola molk “quod missum est”. La stessa mancanza del soggetto latino sottolinea l’affinità del missa est con il punico molk: perché mentre in latino il verbo mittere ha un significato generico, che solo nell’accezione liturgica cristiana acquista una connotazione religiosa, nel punico la forma causativa ylk costituisce di per se stessa un termine tecnico del linguaggio religioso; sì che, se volessimo rendere in italiano non il significato letterale, bensì il reale valore semantico delle espressioni molk e missa est, dovremmo dire “il sacrificio è stato compiuto” […].
Ite--Missa-est.jpg […] Molto si è discusso, com’è noto, sull’origine della parola “messa”; l’opinione attualmente più accreditata la fa giustamente derivare dall’espressione latina missa est, intesa come una forma verbale passiva del verbo mittere “mandare”. Quello che è incerto è il soggetto del verbo, anche se in genere si è propensi a ritenere che la frase ite, missa est, con la quale termina il rito cristiano, volesse in origine indicare che l’eucaristia era stata mandata, per mezzo dei diaconi, ai fedeli ammalati e pertanto impossibilitati a partecipare alla cerimonia comune. Tale interpretazione appare abbastanza soddisfacente sul piano puramente linguistico, ma lo è un po’ meno se si considera l’aspetto religioso del rito. E’ infatti evidente che l’invio dell’eucaristia ai fedeli lontani resta un episodio del tutto marginale e incidentale rispetto allo svolgimento del rito stesso (potevano ben darsi dei casi in cui non vi fossero malati a cui mandare l’eucaristia), sì che desta una certa perplessità vedere una cerimonia religiosa importante come il sacrificio cristiano terminare liturgicamente con una comunicazione di carattere piuttosto banale e, tutto sommato, di nessuna importanza per i fedeli presenti. Le parole ite, missa est acquisterebbero ben altro significato se esse volessero indicare la fine della cerimonia stessa: ite, (hostia) missa est, “(la vittima) è stata offerta”, cioè “il sacrificio è finito”. Questa interpretazione della formula cristiana non soltanto appare più consona alla gravità della cerimonia compiuta, ma troverebbe anche una spiegazione linguistica pienamente soddisfacente. Gli studiosi che finora si sono rivolti a tale questione sono stati attratti dalla singolarità dell’espressione che non trova riscontro nella terminologia liturgica latina o greca; nessuno di loro poteva però immaginare che tale espressione corrisponde esattamente alla terminologia punica: missa est non è altro, infatti, che la traduzione latina della parola molk “quod missum est”. La stessa mancanza del soggetto latino sottolinea l’affinità del missa est con il punico molk: perché mentre in latino il verbo mittere ha un significato generico, che solo nell’accezione liturgica cristiana acquista una connotazione religiosa, nel punico la forma causativa ylk costituisce di per se stessa un termine tecnico del linguaggio religioso; sì che, se volessimo rendere in italiano non il significato letterale, bensì il reale valore semantico delle espressioni molk e missa est, dovremmo dire “il sacrificio è stato compiuto” […].

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